Cercheremo d’individuare l’essenza stessa della tragedia. Eschilo, in particolare, ci permette d’individuare ciò che costituisce il tragico della tragedia. Questa quiddità è l’incontro fra la predestinazione al male e la grandezza eroica. È necessario che l’eroe venga schiacciato perché ci sia l’emozione tragica. Nella tragedia, l’elemento principale è lo scontro fra un dio cattivo (che può anche essere impersonale, come il Fato ad esempio) e l’eroe. Gli esempi di tragedia che Ricoeur considera come archetipo del teatro eschileo sono, I Persiani e Il Prometeo incatenato. In quest’ultimo lo stesso Prometeo è l’eroe esempio di ogni uomo, e Zeus il dio punitore che incorpora in se sia il lato oscuro che quello luminoso della divinità. I Persiani è la dimostrazione di come il patos tragico riesca a superare l’entusiasmo della vittoria. Infatti, quest’opera celebra in modo compassionevole la sconfitta dei Persiani di Serse a Salamina, ed il nemico, nella figura del Grande Re, viene rappresentato come un giusto schiacciato dal volere degli dei. Paul Ricoeur ci fa notare come il termine usato più spesso per indicare il divino in questa tragedia (daίmon) sia effettivamente di difficile traduzione (dio, destino, demone), e che la stessa lingua greca in generale ha molti termini per indicare la divinità (qeός, daίmwn, tύch). Quella greca è senza dubbio una teologia evasiva che permette però, all’autore del dramma, di rendere al meglio l’ambiguità del divino. In questo sistema di pensiero l’eroe si sottrae alla condanna morale che ricade sugli stessi gradi più alti dell’essere. Nel Prometeo incatenato, come nella Teogonia di Esiodo, la collera divina assume proporzioni gigantesche e drammatiche. L’ambiguità del divino, sempre teso fra violenza e giustizia, diviene lampante. Ricoeur accenna anche al fatto che la colpa (ὕbriς) non è un elemento tipico della tragedia. Essa, infatti, è presente in tutte le mitologie che hanno cercato di fornire un’origine etica al male. Non è possibile pensare, tuttavia, ad una teologia nella tragedia, poiché essa rappresenta il tutto in maniera drammatica e quindi dinamica, dissimulando il proprio pensiero in forma poetica. Liberazione dal tragico o liberazione nel tragico?: Riteniamo importante riportare le considerazioni fatte da Paul Ricoeur a proposito delle capacità salvifiche del tragico. Tratteremo ora dei diversi modi attraverso cui la tragedia greca affronta la liberazione dal male; si tratta, in questo caso, di una liberazione che va distinta dall’accezione cristiana del termine. La liberazione dell’animo umano avviene in due modi: tramite la redenzione degli dèi (quando la Tragedia diviene Epopea); oppure, tramite la liberazione esistenziale che è la presa di coscienza della tragedia dell’esistenza. Liberazione dal tragico: la tragedia si risolve nell’Epopea e nella ritrovata giustizia divina: Le tragedie di Eschilo sono l’esempio principe di questo schema di salvezza, che ha la sua attuazione pratica, secondo Paul Ricoeur, nella Trilogia del Prometeo, in cui il protagonista rappresenta l’archetipo di ogni uomo in lotta con il divino. Questa trilogia di opere doveva concludersi con un’opera andata perduta, il Prometeo liberato appunto, che riporta la divinità entro i margini della grazia: s’esprime nella purificazione di Apollo che pone fine alla Vendetta divina. Questo schema di liberazione, di cui parla Ricoeur, fa riferimento alla Trilogia del Titano: a) Il primo atto della Trilogia è il Prometeo portatore del fuoco. b) Il secondo atto è il Prometeo incatenato, l’unica opera della trilogia ad esserci giunta in modo compiuto, in cui si esprime tutto il dramma del dio vendicatore, il dio malvagio della tragedia greca, ed il desiderio di vendetta del titano incatenato. g) Il terzo atto è sicuramente il Prometeo liberato, in cui il desiderio di vendetta viene sostituito dal desiderio di perdono e redenzione. Nell’ultimo atto di questa trilogia la collera di Zeus ed il desiderio di vendetta di Prometeo si placano. Lo Zeus vendicatore diviene Padre di Giustizia, e la Tragedia divine Epopea: “Non v’è dubbio che, per Eschilo almeno, la tragedia è rappresentazione del tragico e al tempo stesso impulso verso la fine del tragico”. Il tragico trova la propria fine, nelle opere di Eschilo, solo con la fine della teologia tragica (o teologia d’accusa), che Eschilo esprime bene nel lamento di Prometeo. La teologia d’accusa trova espressione anche nel dialogo fra Prometeo ed Efesto, il suo carceriere. Questo dialogo esprime tutta la crudeltà della punizione infitta da Zeus. Tale teologia d’accusa viene sostituita da una teologia di giustizia, grazie alla quale la tragedia diviene epopea. Nell’Epopea il polo titanico viene assorbito dal polo olimpico e gli dèi pervengono così al loro ruolo, liberati (o perdonati) dalla violenza che li ha condotti al potere. Vorremmo inoltre precisare che gli accostamenti effettuati da Ricoeur fra mondo greco ed ebraico possono sembrare forzati, data la distanza culturale e temporale degli eventi narrati, tuttavia tale accostamento è comprensibile se si tiene conto della volontà dell’Autore di mostrare, nonostante l’eterogeneità dei simboli, l’unità di fondo del senso del tragico. Liberazione nel tragico: In Sofocle non vi è una fine del tragico. Prenderemo come esempio di questo schema di liberazione il ciclo di tragedie dedicate ad Edipo. Il principale aspetto di questo ciclo è il contrasto fra la cruenta lotta fra il divino (il fato), e l’uomo, narrata nell’Edipo Re. Riportiamo qui di seguito un passo in cui l’indovino Tiresia rivela al Re la sua maledizione: “Ignori d’impestare i tuoi cari, vivi e morti. Ti colpirà da una parte e dall’altra la maledizione di tuo padre e di tua madre, che avanza spaventosa su di te, e ti caccerà da questa terra, tu che adesso vedi, e presto sarai al buio”. Il passo sopraccitato è in contrasto con la pace interiore raggiunta nello spirito poetico che ha dato vita all’Edipo a Colono: “Lo sguardo degli dei può volgersi tardivo, ma è infallibile, là dove l’uomo trascura la santità e s’incammina su strade di follia”. La rassegnazione è l’esempio più forte di come il tragico sia considerato una via di espiazione per raggiungere una pace interiore che non cambia gli schemi della teologia (qui però il dio sembra essere più impersonale, più vicino al fato-tύch). Soffrire è il mezzo per comprendere l’essenza della natura umana; essa, infatti, è legata al tragico. In conclusione, abbiamo visto come Ricoeur abbia scelto le tragedie di Eschilo come esempio della liberazione dal tragico, in particolare la trilogia del Titano, (il Prometeo portatore del fuoco, il Prometeo incatenato ed il Prometeo liberato), come mezzo per affrontare il conflitto fra dio, in quanto essere onnipotente ed infinito, ed il finito (l’uomo). Possiamo affermare con certezza che l’Autore ha scelto Eschilo a ragione degli argomenti e dei personaggi messi in scena dal tragediografo greco; quest’ultimo, infatti, narra di esseri divini, come Zeus o Efeso, e semi-divinità, come lo stesso Prometeo. Non è un uomo qualunque quello messo in scena dal tragico greco, esso è vicino alla perfezione degli dèi, ed è tale vicinanza a tentare l’uomo esemplare, che sia esso Adamo o Prometeo. È proprio la vicinanza al divino, l’essere una via di mezzo fra il dio e la bestia, fra l’essere ed il nulla che spinge l’uomo verso la trasgressione della Legge e dei propri limiti. I protagonisti di Eschilo possiedono, fra le caratteristiche umane, la volontà di potenza, che esprimono nella volontà di battere ed umiliare i più potenti fra gli dèi. In Eschilo l’eroe è in perenne lotta contro dio, esso è l’espressione del desiderio d’infinità (o di divinità). Gli eroi di Sofocle, al contrario, sono propriamente umani, essi possiedono tutte le debolezze di questi ultimi, sono lontani dalla grandezza degli dèi. Questo genere di tragedia esprime più il sentimento di abbandono che coglie l’uomo di fronte alle tragedie imperscrutabili del fato e alla lontananza degli dèi che rasenta l’abbandono. Sofocle, al contrario di Eschilo, mette in scena dei personaggi assai distanti dalla perfezione del Titano (figlio di dèi), essi rappresentano l’umanità in tutta la sua debolezza e fragilità; sono preda del fato (o della volontà divina). Essi non sono in lotta con il principio divino, come Edipo, così Aiace dal grande scudo, subiscono inconsapevolmente la volontà divina. In Sofocle l’eroe è il protagonista dei giochi del fato, della crudeltà degli dèi. Edipo non è in lotta con dio, tanto che la conclusione che Ricoeur trae dalle tragedie di questo autore riguarda la pace interiore ritrovata del protagonista, una volta presa coscienza dell’imperscrutabilità del fato. Ciò fornisce la cifra della distanza fra umano e divino e del grado di rassegnazione raggiunta dai tragediografi che abbiamo trattato.
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1 commento:
Cazzo non immaginavo di trovare su internet un blog così profondo, bravo Sabato 14, non solo cose leggere su internet!!!
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