venerdì 29 febbraio 2008

Grillo dì qualcosa di sinistra!


Parafrasando il vecchio sketch di Nanni Moretti (in cui rimprovera D’Alema…che non dice nulla “di sinistra”), mi permetto di suggerire a Beppe Grillo di dire qualcosa a favore del Pd. Infatti, secondo un sondaggio moltissimi cittadini che votano per il Pd sono dei grandi sostenitori delle tesi del Grillo Parlante. La cosa sarebbe senza conseguenze nefaste se non fosse che ultimamente il nostro amato Grillo suggerisce agli elettori di non andare a votare alle politiche per protesta contro questa legge elettorale incostituzionale e truffaldina. Solo che, essendo molti suoi seguaci degli elettori del Pd, la logica conseguenza di questi pur saggi suggerimenti, sarà quella di consegnare il paese nelle mani dello stesso autore della sopraccitata legge liberticida: Silvio Berlusconi. Eh già…non andate a votare per protesta contro una legge elettorale ingiusta, incostituzionale e fatta approvare a colpi di maggioranza, provocherà la certa vittoria di colui che l’ha approvata, ironia della sorte!!! Grillo pensaci…reagisci! Dì qualcosa di sinistra!

lunedì 25 febbraio 2008

Binetti...peccato scoprirla

La Binetti, senatrice teodem del Partito Democratico oggi al telegiornale ha dichiarato che porta ancora il cilicio, strumento di tortura e pentimento medioevale. Le serve per ricordarsi della sofferenza della vita…che strano, io ho il mio lavoro che resta lì per ricordarmi che la vita è anche sofferenza. Mi alzo la mattina alle sei e i ricordo che la vita è anche sofferenza. Faccio a cornate con l’ambiente di lavoro e mi ricordo che la vita è sofferenza...insomma, per farla breve, ci sono già diverse cose che mi ricordano che la vita è sofferenza e se una senatrice dell’area progressista ha bisogno del cilicio per ricordarsi che la vita è sofferenza allora c’è qualche cosa che non và. Direi che c’è qualche cosa che non va proprio. Poteva mettersi una foto di un bimbo del Darfur, ma d’altronde lei cosa ne sa dl Darfur…magari li neppure sono cattolici, e quindi se soffrono forse se lo meritano, d’altronde fanno piangere Gesù, pregando i loro dei blasfemi. Gesù piange per loro e loro pregano un altro dio. Che vita grama…magari se portassero il cilicio.

domenica 10 febbraio 2008

La cena dei cretini

Non posso non raccontarvi di una cena divenuta oramai famosa in tutta Padova. La cena dei cretini! Ero a cena a casa di una mia assonnata amica, una di quelle ultra tranquille (a proposito: ciao, se stai leggendo questa mail, non è di te che sto parlando), insomma detto fatto eccola metter su un po’ di pasta, dopo lunghe peripezie al telefono mentre io ero rimasto in cucina costretto a chiacchierare con il suo coinquilino (evidentemente Gay al quale per cortesia avevamo chiesto se voleva mangiare con noi…ricevendo un secco rifiuto). Questo sarebbe il meno, l’aspetto tragico è che la mia amica, forse spendo ch’ero a dieta, ha messo su a bollire un quantitativo di cappelletti che sarebbe bastato FORSE per me. Mentre non poteva già bastare per due. Tant’è che ho accettato la prospettiva della dieta forzata con pacata rassegnazione, servo i primi due piatti minuscoli lasciando nella pentola un poco di pasta per fare il bis ed allungare l’illusione della cena…quand’ecco che il malcapitato coinquilino si alza dal divano, viene di la e, sbirciando nella pentola dice: “beh…visto che ne avete fatta così tanta – starà scherzando, dico io – allora ne prenderei un poca anch’io!”...PANICO. Senza neppure aspettare il nostro immancabile assenso (buone maniere di merda!) ecco che lo scroccatore pazzo si avventava sui pochi resti della miserabile cena dando fondo alle mie speranze, mentre io avevo uno sguardo a metà fra l'attonito e il terrorizzato e il sudore freddo che scendeva lungo la schiena. Al che sono uscito di casa sconsolato, con i migliori kebab chiusi e una fame atavica che non smetteva di tormentarmi. Ho trovato consolazione solo in casa di amici fidati (mangioni quanto se non più di me) ove ho trovato ancora a mezzanotte la tavola imbandita e ogni ben di dio (dio lettera minuscola non è un errore). La cena dei cretini…il seguito…speriamo di no! Nei peggiori ristoranti.

Lettera aperta al Popolo Femminile per la Libertà


Le donne sono una sorta di criptonite per gli uomini. Appena si avvicinano e ci parlano, ci rincoglioniamo come dei supereroi ammosciati. Da dove deriva la loro forza? Che vengano davvero da un altro pianeta per cui il contatto con questa presenza che le nostre cellule sentono come aliena, ci sfinisce e ci svilisce? Ma insomma, pensate un po’ voi, Superman aveva un solo nemico, o almeno uno solo per volta, mente noi tutti, categoria sfigata di alienati dalla passera, ce ne stiamo qui ad agonizzare di fronte a circa la metà della popolazione mondiale. Non si potrebbe trovare un amuleto dai superpoteri? Superman come faceva? Insomma anche voi donne, creature beate della terra, capaci di dar sapore alla vita (o ad una notte), non potreste togliervi quello scafandro da cui ci guardate, manco fossimo degli appestati?
Amici, romani, concittadini, prestatemi orecchio, dobbiamo fare qualcosa, non è possibile che al mondo vi sia chi, con noncuranza, riesce a far breccia nei cuori delle donne mentre una grande fetta degli uomini salta il pasto (ammicco) ogni sera. Non vorrei ridurmi a diventare vegetariano ma qui si sta passando il limite.
Uomini per la Libertà di Gnocca, sete con me? Allora da domani sciopero (Federica non conta), non andremo in giro a cercar disperatamente di rimorchiar donne, vedrete che senza le lusinghe di quelli come noi la loro sicurezza verrà meno e allora…

L'essenza del tragico

Cercheremo d’individuare l’essenza stessa della tragedia. Eschilo, in particolare, ci permette d’individuare ciò che costituisce il tragico della tragedia. Questa quiddità è l’incontro fra la predestinazione al male e la grandezza eroica. È necessario che l’eroe venga schiacciato perché ci sia l’emozione tragica. Nella tragedia, l’elemento principale è lo scontro fra un dio cattivo (che può anche essere impersonale, come il Fato ad esempio) e l’eroe. Gli esempi di tragedia che Ricoeur considera come archetipo del teatro eschileo sono, I Persiani e Il Prometeo incatenato. In quest’ultimo lo stesso Prometeo è l’eroe esempio di ogni uomo, e Zeus il dio punitore che incorpora in se sia il lato oscuro che quello luminoso della divinità. I Persiani è la dimostrazione di come il patos tragico riesca a superare l’entusiasmo della vittoria. Infatti, quest’opera celebra in modo compassionevole la sconfitta dei Persiani di Serse a Salamina, ed il nemico, nella figura del Grande Re, viene rappresentato come un giusto schiacciato dal volere degli dei. Paul Ricoeur ci fa notare come il termine usato più spesso per indicare il divino in questa tragedia (daίmon) sia effettivamente di difficile traduzione (dio, destino, demone), e che la stessa lingua greca in generale ha molti termini per indicare la divinità (qeός, daίmwn, tύch). Quella greca è senza dubbio una teologia evasiva che permette però, all’autore del dramma, di rendere al meglio l’ambiguità del divino. In questo sistema di pensiero l’eroe si sottrae alla condanna morale che ricade sugli stessi gradi più alti dell’essere. Nel Prometeo incatenato, come nella Teogonia di Esiodo, la collera divina assume proporzioni gigantesche e drammatiche. L’ambiguità del divino, sempre teso fra violenza e giustizia, diviene lampante. Ricoeur accenna anche al fatto che la colpa (ὕbriς) non è un elemento tipico della tragedia. Essa, infatti, è presente in tutte le mitologie che hanno cercato di fornire un’origine etica al male. Non è possibile pensare, tuttavia, ad una teologia nella tragedia, poiché essa rappresenta il tutto in maniera drammatica e quindi dinamica, dissimulando il proprio pensiero in forma poetica. Liberazione dal tragico o liberazione nel tragico?: Riteniamo importante riportare le considerazioni fatte da Paul Ricoeur a proposito delle capacità salvifiche del tragico. Tratteremo ora dei diversi modi attraverso cui la tragedia greca affronta la liberazione dal male; si tratta, in questo caso, di una liberazione che va distinta dall’accezione cristiana del termine. La liberazione dell’animo umano avviene in due modi: tramite la redenzione degli dèi (quando la Tragedia diviene Epopea); oppure, tramite la liberazione esistenziale che è la presa di coscienza della tragedia dell’esistenza. Liberazione dal tragico: la tragedia si risolve nell’Epopea e nella ritrovata giustizia divina: Le tragedie di Eschilo sono l’esempio principe di questo schema di salvezza, che ha la sua attuazione pratica, secondo Paul Ricoeur, nella Trilogia del Prometeo, in cui il protagonista rappresenta l’archetipo di ogni uomo in lotta con il divino. Questa trilogia di opere doveva concludersi con un’opera andata perduta, il Prometeo liberato appunto, che riporta la divinità entro i margini della grazia: s’esprime nella purificazione di Apollo che pone fine alla Vendetta divina. Questo schema di liberazione, di cui parla Ricoeur, fa riferimento alla Trilogia del Titano: a) Il primo atto della Trilogia è il Prometeo portatore del fuoco. b) Il secondo atto è il Prometeo incatenato, l’unica opera della trilogia ad esserci giunta in modo compiuto, in cui si esprime tutto il dramma del dio vendicatore, il dio malvagio della tragedia greca, ed il desiderio di vendetta del titano incatenato. g) Il terzo atto è sicuramente il Prometeo liberato, in cui il desiderio di vendetta viene sostituito dal desiderio di perdono e redenzione. Nell’ultimo atto di questa trilogia la collera di Zeus ed il desiderio di vendetta di Prometeo si placano. Lo Zeus vendicatore diviene Padre di Giustizia, e la Tragedia divine Epopea: “Non v’è dubbio che, per Eschilo almeno, la tragedia è rappresentazione del tragico e al tempo stesso impulso verso la fine del tragico”. Il tragico trova la propria fine, nelle opere di Eschilo, solo con la fine della teologia tragica (o teologia d’accusa), che Eschilo esprime bene nel lamento di Prometeo. La teologia d’accusa trova espressione anche nel dialogo fra Prometeo ed Efesto, il suo carceriere. Questo dialogo esprime tutta la crudeltà della punizione infitta da Zeus. Tale teologia d’accusa viene sostituita da una teologia di giustizia, grazie alla quale la tragedia diviene epopea. Nell’Epopea il polo titanico viene assorbito dal polo olimpico e gli dèi pervengono così al loro ruolo, liberati (o perdonati) dalla violenza che li ha condotti al potere. Vorremmo inoltre precisare che gli accostamenti effettuati da Ricoeur fra mondo greco ed ebraico possono sembrare forzati, data la distanza culturale e temporale degli eventi narrati, tuttavia tale accostamento è comprensibile se si tiene conto della volontà dell’Autore di mostrare, nonostante l’eterogeneità dei simboli, l’unità di fondo del senso del tragico. Liberazione nel tragico: In Sofocle non vi è una fine del tragico. Prenderemo come esempio di questo schema di liberazione il ciclo di tragedie dedicate ad Edipo. Il principale aspetto di questo ciclo è il contrasto fra la cruenta lotta fra il divino (il fato), e l’uomo, narrata nell’Edipo Re. Riportiamo qui di seguito un passo in cui l’indovino Tiresia rivela al Re la sua maledizione: “Ignori d’impestare i tuoi cari, vivi e morti. Ti colpirà da una parte e dall’altra la maledizione di tuo padre e di tua madre, che avanza spaventosa su di te, e ti caccerà da questa terra, tu che adesso vedi, e presto sarai al buio”. Il passo sopraccitato è in contrasto con la pace interiore raggiunta nello spirito poetico che ha dato vita all’Edipo a Colono: “Lo sguardo degli dei può volgersi tardivo, ma è infallibile, là dove l’uomo trascura la santità e s’incammina su strade di follia”. La rassegnazione è l’esempio più forte di come il tragico sia considerato una via di espiazione per raggiungere una pace interiore che non cambia gli schemi della teologia (qui però il dio sembra essere più impersonale, più vicino al fato-tύch). Soffrire è il mezzo per comprendere l’essenza della natura umana; essa, infatti, è legata al tragico. In conclusione, abbiamo visto come Ricoeur abbia scelto le tragedie di Eschilo come esempio della liberazione dal tragico, in particolare la trilogia del Titano, (il Prometeo portatore del fuoco, il Prometeo incatenato ed il Prometeo liberato), come mezzo per affrontare il conflitto fra dio, in quanto essere onnipotente ed infinito, ed il finito (l’uomo). Possiamo affermare con certezza che l’Autore ha scelto Eschilo a ragione degli argomenti e dei personaggi messi in scena dal tragediografo greco; quest’ultimo, infatti, narra di esseri divini, come Zeus o Efeso, e semi-divinità, come lo stesso Prometeo. Non è un uomo qualunque quello messo in scena dal tragico greco, esso è vicino alla perfezione degli dèi, ed è tale vicinanza a tentare l’uomo esemplare, che sia esso Adamo o Prometeo. È proprio la vicinanza al divino, l’essere una via di mezzo fra il dio e la bestia, fra l’essere ed il nulla che spinge l’uomo verso la trasgressione della Legge e dei propri limiti. I protagonisti di Eschilo possiedono, fra le caratteristiche umane, la volontà di potenza, che esprimono nella volontà di battere ed umiliare i più potenti fra gli dèi. In Eschilo l’eroe è in perenne lotta contro dio, esso è l’espressione del desiderio d’infinità (o di divinità). Gli eroi di Sofocle, al contrario, sono propriamente umani, essi possiedono tutte le debolezze di questi ultimi, sono lontani dalla grandezza degli dèi. Questo genere di tragedia esprime più il sentimento di abbandono che coglie l’uomo di fronte alle tragedie imperscrutabili del fato e alla lontananza degli dèi che rasenta l’abbandono. Sofocle, al contrario di Eschilo, mette in scena dei personaggi assai distanti dalla perfezione del Titano (figlio di dèi), essi rappresentano l’umanità in tutta la sua debolezza e fragilità; sono preda del fato (o della volontà divina). Essi non sono in lotta con il principio divino, come Edipo, così Aiace dal grande scudo, subiscono inconsapevolmente la volontà divina. In Sofocle l’eroe è il protagonista dei giochi del fato, della crudeltà degli dèi. Edipo non è in lotta con dio, tanto che la conclusione che Ricoeur trae dalle tragedie di questo autore riguarda la pace interiore ritrovata del protagonista, una volta presa coscienza dell’imperscrutabilità del fato. Ciò fornisce la cifra della distanza fra umano e divino e del grado di rassegnazione raggiunta dai tragediografi che abbiamo trattato.

L’Eros dalla genesi all’apocalisse della metafisica, amore e odio in Platone e Nietzsche

Salve cari lettori, dato lo scempio che la filosofia contemporanea sta compiendo sulla questione dell’amore, che si riduce sempre a questioni piuttosto rosee prive di cognizione e saggezza, vorrei permettere agli appassionati di filosofia (ma anche agl’altri) di percorrere la storia dell’EROS all’interno della metafisica, puntando in particolare sugli autori che, a detta di Heidegger, ne rappresentano la genesi e l’apocalisse (mai termine fu più appropriato per un filosofo, quale è Nietzsche, fautore del nichilismo europeo). Di Platone ci piace ricordare ciò che disse durante il Simposio. Per il padre della metafisica il dio Eros (l’Eros ed il Daimon sono figure dell’anima) è figlio di Penia (povertà) e Poros (desiderio): “Per questo, Eros divenne anche seguace e ministro di Afrodite, perché fu generato durante le feste natalizie di lei; ed è nello stesso tempo per natura amante di bellezza, perché anche Afrodite è bella. Poiché, dunque, Eros è figlio di Penia e di Poros, gli è toccato un destino di questo tipo. Prima di tutto è povero sempre, ed è tutt’altro che bello e delicato (…) è sempre accompagnato con povertà. Per ciò che riceve dal padre, invece, egli è insidiatore dei belli e dei buoni, è coraggioso, audace, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse, filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore, preparatore di filtri, sofista”. In Platone il desiderio-Eros è l’anelito verso una realtà lontana, indeterminata. La stessa filosofia è un istinto erotico, un desiderio inappagato. Nietzsche cerca la dissoluzione di tutto questo, da una filosofia che esalta il desiderio del divino, inteso come un valore metafisico, si passa all’immanentismo più estremo, ad una filosofia che cerca l’attualità, la realtà, che cerca di ridurre l’eros alla debolezza dell’uomo. Ma suo il tentativo di riportare la filosofia all’immanente fallisce miseramente, come testimonia lo Zarathustra: “Preferisco consigliarvi la fuga dal prossimo e l’amore per il remoto!”. In realtà di fronte ai temi più dolorosi lasciati aperti dal suo pensiero, come l’Eterno Ritorno, che implica anche il ritorno delle cose più orribili, e l’Amor Fati (che implica il desiderare l’Eterno Ritorno); Nietzsche si rifugia nella metafisica dell’uomo superiore, nel desiderio dell’ignoto e della volontà di potenza. All’alba come alla fine, la filosofia ritorna sempre alla metafisica. Nel filosofo tedesco l’eros è il volto della volontà di potenza. In sostanza vorremmo sottolineare come per Platone l’amore (come pure l’odio) su questa terra siano lo specchio degli elementi più alti del cosmo. Nietzsche, inizialmente, ceca di fuggire la metafisica…ma anch’egli non può che sprofondare in un desiderio (eros) irreale ch’è lo specchio del sovrannaturale nella filosofia moderna.
Il profeta della Volontà di Potenza dopo aver cercato di sfasciare a colpi d’ascia la filosofia come eros verso l’infinito, il superiore, l’irraggiungibile; è costretto, per fuggire dagli orrori del mondo, a costruirsi delle pareti fatte dello spirito della metafisica…ironia del fato vuole che il distruttore dell’eros filosofico, della metafisica, ne sia il rifondatore...Eterno Ritorno! (Con il contributo di Don Fabio).

lunedì 4 febbraio 2008

Saremmo dovuti nascere dei

L’errore del nostro modo di pensare la vita sta nella considerazione che abbiamo della nostra condizione umana. Da cosa deriva l’infelicità?
Nel medio evo alcuni religiosi affermavano che per l’uomo era possibile raggiungere la felicità. Era sufficiente, secondo questi, percepire il bene e la beatitudine come elemento della completezza umana.
A costoro molti altri avevano da eccepire alcuni punti. Tanto per cominciare la completezza dell’uomo in quanto tale non è comunque una condizione semplice da raggiungere, anzi, essa risulta più un obbiettivo ideale che una meta concreta. Inoltre, nello spirito umano è presente una visione (o una sensazione) del bene, della felicità e della completezza che non è solamente legata alla corporeità. Per dirne una: la morte è parte della vita dell’uomo (dovrebbe essere parte della felicità in quanto completa l’uomo), tuttavia, essa rimane estranea ai desideri della maggior parte dei viventi.
Il desiderio dell’uomo va oltre le sue possibilità naturali. È sua condizione innata dell’uomo il desiderio infinito, il desiderio di desiderio, la volontà di volontà, viaggiare oltre i confini dell’onnipotenza.
Per questo, come affermo nel titolo, saremmo dovuti nascere Dei!

Una tragica commedia

Vi sono diverse opinioni sul ruolo che hanno la tragedia e la commedia nella vita degli uomini, e sul loro rapporto con la filosofia. Per trattare meglio quest'argomento è doveroso indicare la concezione di filosofia cui si farà riferimento, a tal proposito ricorreremo a Heidegger ed alla definizione di quest'ultima disciplina contenuta in Essere e tempo: "La filosofia è un'ontologia universale e fenomenologica, movente dall'ermeneutica dell'Esserci, la quale, poiché analitica dell'esistenza, ha assicurato il termine del filo conduttore d'ogni indagine filosofica nel punto dove l'analisi sorge e infine ritorna". È proprio all'analitica esistenziale che questi due generi potranno essere utili, sia mostrando l'uomo in quanto tale, sia proponendo delle soluzioni, dei farmaci, ai problemi che la filosofia esistenziale ci mette in condizione di vedere. Per la seguente trattazione terrò conto, per la commedia, del Miles Gloriosus di Plauto e di Un marito ideale di Oscar Wilde; per la tragedia userò, a titolo di esempio, il Tito Andronico di Shakespeare e l’Edipo re di Sofocle. Per l'ultimo capitolo non nascondo di aver avuto molte difficoltà a trovare un testo adatto alla mia trattazione. Ho ritenuto di dover tener conto dell'Odissea, considerata da Aristotele l'origine sia della commedia sia della tragedia. La commedia è comunemente considerata una composizione teatrale a lieto fine, che ha come oggetto situazioni di vita quotidiana. Noi ci scostiamo da quest'opinione, infatti, mentre la tragedia ci mostra l'angoscia insostenibile, l'impossibilità di sfuggire al proprio destino, la commedia ci mostra l'assurdità dell'esistenza, il suo lato comico. Alla tragica logicità del male, la commedia contrappone l'assurdità della follia. La tragicommedia, come vedremo, mostra entrambi questi aspetti. Razionalità e irrazionalità, angoscia e follia sono rappresentate insieme sul palcoscenico come testimonianza dell'antinomia della realtà, sempre presente e irrisolvibile. La commedia ci fa vedere la verità sugli uomini, invischiandoli in situazioni ridicole, per poi mostrarci come il suo eroe, tramite l'astuzia che lo contraddistingue, riesca sempre a liberare se stesso e gli amici da situazioni pericolose. Ad esempio, nel Miles, Plauto ci mette di fronte ad una figura di eroe che, a mio parere, è emblematica. Palestrione, servo del militare stolto, s'ingegnerà affinché i suoi amici possano farla franca. Wilde non si discosta da questa figura di eroe anti-eroe. Il suo paladino è un nobile britannico, Lord Goring, abile nel destreggiarsi in situazioni mondane, vediamo come lo descrive l'autore: “Ha trentaquattro anni, ma dice sempre d'essere più giovane. Ha dei bei lineamenti un pò sbiaditi. E' intelligente, ma non ama esser considerato tale. È un perfetto corteggiatore, ma gli dispiacerebbe esser preso per un romantico. Scherza con la vita ed ha buonissimi rapporti con tutti. Gli piace essere frainteso perché questo lo mette in posizione di vantaggio rispetto agli altri". Le figure proposte come modelli dagli autori che abbiamo citato sono assai differenti da quelle che comunemente sono portate a modello: uno schiavo e un giovane farfallone ci permettono di vedere come con astuzia ed ingegno si possano affrontare le situazioni paradossali che la vita ci presenta. Appare allora evidente l'utilità filosofica di questo genere letterario, esso svela l'intrinseca follia della vita, la sua irrazionalità, e propone una gamma di soluzioni agli enigmi che questa pazzia suscita. La commedia, quindi, è ciò che esprimerla follia dell'esistenza. La tragedia è di difficile definizione, rispetto a quella della commedia. In questo caso l'opinione comune non fornisce un parere unanime dal quale cominciare la nostra trattazione. Per noi essa è un genere nel quale viene affrontato il rapporto dell'uomo con il destino, ed in particolare con un destino malvagio. Nella tragedia l'uomo è messo di fronte a ciò che non può essere affrontato, ad un dolore che è più grande della morte. La figura dell'eroe tragico è quella di un essere umano costretto a pagare con sofferenze indicibili delle colpe commesse da lui o impostegli dagli dei, dalle problematiche che l'eroe della commedia poteva ancora affrontare si passa a quelle impossibili da sconfiggere. Dalla follia, della quale si poteva ancora sorridere, si passa alla sofferenza che è, a nostro avviso, la caratteristica della tragedia. Tale sconforto privo di consolazione è espresso assai bene nell’Edipo re di Sofocle. Quando il re di Tebe entra in scena dopo essersi trafitto gli occhi per punirsi della colpa che ha commesso (l'assassinio del padre ed il matrimonio con sua madre), lo spettatore non può non lasciarsi travolgere dalle sue parole: "Io non so con quali occhi, nell'Ade, avrei potuto volgere lo sguardo a mio padre e a mia madre. Per il male compiuto non bastava la morte violenta. Potevo ancora allietarmi nel volto dei miei figli, nati da quella madre?". Anche Shakespeare sembra volerci rendere partecipi di questa sofferenza insolubile quando fa dire al suo Tito: "La mia angoscia era già al colmo prima del tuo arrivo (si riferisce all'arrivo della figlia alla quale sono state tagliate le mani e la lingua); ma ora, come il Nilo in piena, scavalca i margini". Ma qual è l'importanza della tragedia per il discorso filosofico? Essa può divenire un mezzo attraverso il quale il filosofo ci mostra il risultato della sua analitica esistenziale, il mezzo attraverso il quale rivelare la realtà angosciosa. La tragedia esprime, in forma drammatica, l’angoscia dell’esistenza. Vediamo tuttavia che la tragedia da sola non è completa. La tragicommedia, anche di quest'ultima la definizione è assai difficile. Infatti anche in questo caso il significato corrente di tragicommedia non è di nostro interesse. Risulta molto più importante l'idea di tragicommedia come il risultato ultimo e più completo dell'unione della commedia sopra descritta e della tragedia. Mentre la prima trattava i sui problemi in modo da renderli risibili, la seconda lasciava affogare i propri personaggi nel male. La tragicommedia ha il compito di unire entrambi i sentimenti portandoci ad un più autentico contatto con la realtà che è, essa stessa, tragicomica. Non nego di aver trovato non pochi problemi nella ricerca un simile genere di tragicommedia, infine mi sono ricordato delle parole di Aristotele il quale supponeva che sia il genere tragico sia il comico derivassero dai poemi omerici. È all'Odissea, perciò che ho deciso di ispirarmi per la descrizione di un esempio di tragicommedia. Nel poema sono contenute le caratteristiche di entrambi i generi, Ulisse è costretto ad affrontare situazioni capaci di suscitare l'ilarità dello spettatore, ad esempio quando gli uomini di Ulisse vengono trasformati in porci per pio essere liberati dall'incantesimo, ed allo stesso tempo è sottoposto continuamente al giudizio degli dei e ai capricci del destino, ad esempio quando Odisseo perde i suoi compagni, puniti per un offesa agli dei, vittime di un naufragio. Non sfugga comunque al lettore che l'opera di Omero si avvicina più alla tragedia che alla commedia. Risulta da quanto abbiamo affermato che la tragicommedia è il genere più importante e completo fra quelli analizzati in quanto ci permette di entrare in contatto con la tragica comicità del reale. D'altronde anche Platone riteneva “che lo stesso autore deve saper comporre e commedie e tragedie, e chi con la sua arte è tragediografo deve essere anche commediografo”.

Tecnopositivismo

Premetto che il pensiero che sto per esporvi ha avuto origine grazie alla collisione di due elementi: il primo, di carattere drammatico (se mi passate il termine), ovvero la constatazione della povertà intellettuale del mondo; l’altro, di levatura filosofica e cosmologica, leggendo le opere di Nietzsche. Di quest’ultimo, mi aveva colpito, in particolare la sua descrizione del tempo secondo la visione dei greci (di tipo circolare e non lineare, come invece viene concepito oggi), questa rivelazione, accostata a quella dell’Eterno Ritorno ed unita alla rabbia per lo stato della nostra civiltà, ha dato origine ad alcune geniali intuizioni (modestamente). Come dicevo in precedenza, quasi tutti i popoli della terra ritenevano che il tempo avesse natura circolare, ovvero, secondo questa visione il mondo non aveva avuto un’origine per poi giungere ad una giusta fine (Genesi ed Apocalisse per intenderci) ma seguiva un movimento circolare (o a spirale) che implica come principale elemento l’assenza di un inizio (temporale) e una fine nel senso della totale scomparsa di questo mondo. Il mondo quindi, e da qui partono i “miei” sproloqui, pulsa e vive espandendosi (evolvendo) per poi collassate lentamente su se stesso. Un po’ come ci raccontano certi scienziati (quelli della teoria del Big Bang per intenderci) i quali affermano che l’Universo ad un certo punto si era agglomerato e ristretto in un solo ammasso, minuscolo, contenente tutti gl’elementi dell’attuale cosmo. Giunto al punto ultimo del collasso l’Universo è esploso dando origine al nostro mondo. L’Universo tuttavia continua ad espandersi…ma un giorno dovrebbe, sempre secondo questa teoria ritornare a contrarsi per dare di nuovo origine al Big Bang. Una sorta di movimento perpetuo di morte e rinascita, come l’estate e l’inverno, come il sorgere del sole ed il suo alternarsi con la luna e come moltissimi altri movimenti che implicano i due elementi principale del Cosmo e della vita dell’uomo: Vita e Morte. Allora ho pensato che forse gl’antichi popoli della terra avevano una visione circolare del tempo perché, molto prima di noi, avevano intuito la ciclicità della Natura. Bene! Dopo questa brillante intuizione sono tornato a riflettere sul becero articolo anti-divertimento. Se, come la natura, anche l’uomo, la sua intelligenza, la coscienza d’appartenenza alla medesima razza d’animale (uomo), l’interiorizzazione della democrazia e della tolleranza seguissero l’esempio dell’Universo, in un movimento di estensione e contrazione? D’altronde dopo il periodo greco-romano c’è stato il medioevo, dopo il rinascimento, l’inquisizione; dopo l’illuminismo, il congresso di Vienna; dopo il ’68 … beh … questo! Allora forse anche l’intelligenza umana, dopo un breve periodo di espansione sta regredendo, dopo un periodo di apertura sta tornando verso l’intolleranza. Forse questo movimento è meno evidente oggi rispetto al confronto fra Greci e Barbari, ma lo possiamo ugualmente intravedere. Dopo questa amplia meditazione sono giunto ad un’appropriata conclusione: “Il positivismo, che ritiene che attraverso la scienza, il mondo debba volgere naturalmente verso il meglio, è stata la scuola filosofica più influente sul pensiero comune ed allo stesso tempo la più dannosa!”.

domenica 3 febbraio 2008

Fascismo juventino

Per anni mi sono sforzato di ripetere che le squadre che in Italia vincono lo fanno anche e sempre per favori arbitrari, che dietro ogni vittoria negli ultimi dieci anni si nascondono strani accordi e ruberie d’ogni genere ed ora…eccoci dall’altra parte della barricata, ora siamo noi la squadra da battere e gli altri ci accusano di angheria arbitrali ad ogni partita, e noi cosa dovremmo dire agli amici juventini che fino allo scorso anno sostenevano che gli arbitri non erano pilotati? Ora ch’è stato dimostrato che lo erano, cosa dovremmo dire? Ora che sono loro a subire il dolore di veder vanificati gli sforzi della propria squadra per errori? Cosa dovremmo dire? Che ci dispiace? Che hanno ragione? E noi? Avevamo ragione noi di lamentarci o no? Affermo inoltre che la Juventus non ha la squadra per vincere lo scudetto e che i torti subiti non sono neppure paragonabili ai terribili anni bui in cui lei dominava protetta dagli uomini in camicia nera.

Mi sento ammastellato...

Giustizia ad orologeria dicono? …ma se son stati accusati i due personaggi più loschi del panorama politico italiano. Mastella e Berlusconi, due che, insieme pur non nello stesso schieramento, contribuiscono in maniera pesantissima a bloccare le già esigue possibilità della politica italiana. L’uno dal governo, facendolo cadere e bloccandone le iniziative più innovatrici mentre era ancora lo appoggiava, l’altro, ora, bloccando la possibilità del governo istituzionale, necessario a questo paese, anche solo per cambiare quello schifo di legge elettorale che ci ritroviamo e che lui ha voluto al solo scopo di mettere i bastoni fra le ruote alla successiva legislatura che sapeva non sarebbe stata sotto il suo controllo. Mi meraviglio soprattutto dei suoi alleati che glie lo hanno permesso, Fini e Casini sono oramai caduti nella rete del potere del Berluska e non ne usciranno tanto facilmente perché sanno che solo con lui possono tornare al potere, anche se oramai il loro leader li ha delusi del tutto. A Fini aveva promesso la guida del nuovo Partito delle Libertà, mentre ora ha cambiato idea e resterà lui al timone fino alla morte, quindi, caro Gianfranco, mettiti l’anima in pace che con o senza la sinistra al potere non diventerai mai Primo Ministro, e tanto meno segretario del PL (Partito della Libertà, scusate se non uso quel nome ridicolo, quanto quello di Forza Italia, ch’è stato individuato in quei gazebo molto infighettiti che, però nella sostanza ricordano le elezioni nel sudamerica dove si votava (un po’ come sotto il fascismo) senza scegliere realmente niente, insomma sto parlano del Popolo della Libertà…che stronzata!). E Casini poi, poverello, lui che ha sempre avuto un atteggiamento politicamente corretto nei confronti di alleati e avversari, che si è fatto eleggere Presidente della Camera e ha rifiutato tutte le proposte di ministeri sapendo che sarebbero state d’ostacolo al suo sogno, diventare Presidente della Repubblica. Ha pesino concesso qualche voto sottobanco all’elezione di Napolitano per garantirsi, se non l’appoggio, almeno la possibilità che i comunisti non mettessero il veto alla sue elezione, ed ora scopre che il suo principale alleato vuole il suo stesso biscotto. Lo vuole per vedere fino a che punto gli italiani sono coglioni, tanto da eleggere, indirettamente ma sempre eleggere, come Presidente uno come lui, un parvenue dal nulla, uno che ha fatto i soldi non si sa come e non si sa dove, che ha le mani in pasta dappertutto e che, dal governo ha fatto leggi solo per i suoi particolaristici interessi, facendoci credere che fossero i nostri. Nonostante tutto non lo abbandonano ora che sta per salire di nuovo al potere. Certo è dura rinunciare alla poltrona ma…che diamine mi aspettavo un po’ più di tatto. Lo stesso vale per molti altri che pure lo avevano appoggiato e che dopo averlo visto traballare, aspettavano nel buio il loro turno di gloria (come Montezemolo che senza troppi giochi vorrebbe la Presidenza del Consiglio, caro Luca Cordero, finché non ti renderai conto che 150 euro per una maglietta della Ferrari fatta i Cina son troppe per le tasche di un tifoso italiano non avrai il mio voto, P.S.Vedi puntata delle Iene ndr). Insomma Berlusconi ha deluso tutti ma resta lì dov’è, al potere. Ribellatevi!!! Presto il popolo sarà così deluso dalla politica da smettere di andare a votare (sta già accadendo), da creare un’informazione indipendente con mezzi non convenzionali (sta già accadendo), da fuggire all’estero per cercare liberà e diritti umanai qui calpestati (sta già accadendo). La stessa Europa ha condannato la politica economica (vede The economist) e il comportamento anti-democratico e privo di rispetto per qualsivoglia autorità che non sia la sua (vedi le frasi rivolte all’eurodeputato tedesco, Schulz, a cui ha dato del Kapò). Se davvero avremo Berlusconi presidente, l’allarme è stato lanciato da Oliviero Dilibero che ha denunciato un accordo sottobanco fra Forza Italia e il Partito Democratico per far diventare Presidente il Berluska, accordo al quale non voglio credere, sta di fatto che l’allarme c’è, non lo ignoriamo. Berlusconi Presidente sarebbe una vera vergogna anche se va detto che il via libera lo ha dato Prodi facendo eleggere a colpi di maggioranze risicate prima Bertinotti, poi Marini, ed infine Napolitano (un ex comunista) come Presidente della Repubblica. Io non ho nulla contro Napolitano ma devo dire, non mi piace che il Presidente sia eletto a maggioranza semplice, il 50 per cento più uno dei voti dei grandi elettori. Così hanno dato la possibilità morale all’avversario di fare altrettanto. Aveva cominciato proprio lui, comunque eleggendo la Pivetti alla Camera per esempio (sottolineo…la Pivetti? ma come abbiamo fatto ad accettarlo in silenzio?). Insomma ragazzi state attenti. Il nemico vi ascolta.

Hasta la poltrona siempre

Lanzichenecchi per sempre

Che bello poter dar vita a questo blog proprio ora che il papa è stato amabilmente cacciato dalla Sapienza. Davvero soddisfacente questa coincidenza. Beh cosa dire al proposito? Se non che la libertà di parola è sacra. Che tuttavia il pontefice è fra i principali artefici del pensiero illiberale e negatore della tolleranza. Quindi che fare? Accoglierlo o meno? Senza dubbio non si può essere d’accordo con Galan, il governatore del Veneto, che lo ha invitato all’inaugurazione dell’anno accademico a Padova, proprio lì dove ha esercitato il proprio alto ruolo Galieo Galiei. Eh già! Proprio lì dovrebbe essere invitato il papa, nel luogo in cui secoli fa aveva negato la parola ad uno dei più esimi scienziati della storia. Inoltre, la chiesa, dopo un breve tentativo fatto da Giovanni (buon vecchio Giovanni Paolo) ha disatteso le attese nei suoi confronti riguardo alla lotta alla mafia, e lo stato e la magistratura hanno perso un alleato potente. La chiesa non ha fatto il funerale a Welby (Piergiorgio sei sempre con noi) ma non ha timore di contravvenire alla legge di Dio permettendo fastosi funerali ai mafiosi. La chiesa è quella che, dopo Giovanni Paolo II, ha iniziato una crociata contro l’evoluzionismo, ovvero contro la scienza, se iniziasse a fare altrettanto contro la geografia cosa dovremmo fare, tornare a credere che la terra e piatta e consentire che nelle scuole pubbliche venga affermata, magari durante la lezione di Geografia, e non solo in quella di Religione (inutile rimasuglio dei Patti Lateranensi) che la terra è piatta. Povero Galileo, si starà rivoltando nella tomba. Stiamo parlando di un’autorità onnisciente (sedicente tale) e onnipresente (davvero stavolta). Lamentarsi perché degli studenti e dei docenti, sulla scia del glorioso ’68, hanno occupato le aule dell’Università La sapienza, mi sembra troppo. Anche loro avevano diritto alla libertà di opinione e di espressione, in fin dei conti potevano farli sgomberare (lo fanno spesso ultimamente, anche da queste parti, in Veneto, nel vecchio liberale Veneto della anticlericale Repubblica di San Marco), e il Papa poteva andare lo stesso. Il problema è che il Papa non vuole il confronto né i fischi. Un po’ di laicità non fa male a nessuno, se non al Pontefice insomma…

Mandiamo a casa il tedesco invasore! Dove sono i lanzichenecchi quando servono?